Oggi è necessario, non solo utile, iniziare ad esaminare la gestione del patrimonio immobiliare degli Enti Religiosi con una visione moderna e forsanche disincantata. Viviamo in un momento difficile ed ogni impiego di risorse andrebbe utilizzata nel miglior modo possibile per il raggiungimento dei propri obiettivi vocazionali. Certamente sedersi attorno ad un tavolo per valutare gli immobili costituenti il patrimonio uno ad uno e porsi le domande: “è bene impiegato?”; “come si inserisce nel nostro percorso vocazionale?”; “potrebbe essere impiegato meglio o rendere di più?”; “ragionevolmente per quanto tempo pensiamo che non dovremo occuparcene perché è bene impiegato per un lungo periodo?”, non è assolutamente tempo perso. Nell’attuale congiuntura forse nemmeno la migliore gestione possibile riesce a risolvere “un problema immobiliare” ma è assolutamente certo che va fatto ogni sforzo, per preservare un patrimonio che deve consentire il perseguimento della propria vocazione istituzionale. Ogni immobile è come un “prodotto”. Ogni prodotto notoriamente ha un suo ciclo di vita e durante questo percorso può, per mille ragioni, “giungere a maturazione”. Pensiamo ad un suolo agricolo che successivamente, con la modifica dello strumento urbanistico, diviene edificabile o comunque sfruttabile per altre attività. Per il terreno la logica è simile: dapprima è agricolo, poi diviene edificabile e poi, ritrovandosi in centro città, viene destinato alla realizzazione di parchi e giardini. Questo non vuol dire che gli Enti Religiosi a mutare debbano fare speculazione edilizia. Tuttavia, per gli immobili che per gli Enti Religiosi non sono più funzionali alle attività istituzionali è sempre opportuno valutare la loro dismissione in un momento di massimo rendimento, in favore dell’acquisto di un bene o di attività commerciali che si rivaluteranno nel tempo. In conclusione, non si tratta di ridurre il patrimonio per le attività degli Enti Religiosi che rimane di rilevante importanza per la vita degli stessi. Si tratta di valutare attentamente il patrimonio per sostituirlo, quando occorre, con altri beni che consentano di migliorarlo. Dismettere posizioni non più funzionali non deve necessariamente significare l’impoverimento patrimoniale dell’Ente, anzi potrebbe essere una opportunità per l’incremento dei valori patrimoniali attraverso oculati e ponderati successivi acquisti. In generale: vendere immobili per finanziare le spese correnti non è affatto cosa buona. In verità riscontro che non c’è molto desiderio di dedicare tempo e risorse in maniera sistematica alla gestione del patrimonio nell’ottica sopra esposta. Ad ogni modo ritengo che farlo sia più che indispensabile oltre che necessario. Valutare lo stato attuale di fatto e quello delle potenzialità future è non più questione che può essere procrastinata. La domanda è si vuole o non si vuole dedicare risorse in maniera sistematica per la gestione del patrimonio immobiliare? Con quale logica quell’immobile si inserisce nelle potenzialità dell’Ente? Si vuole o non si vuole conoscere l’attuale situazione di fatto di ogni immobile e valutare i suoi impieghi futuri? L’immobile ha una sua appetibilità commerciale? Qui non si tratta solo di dare un valore o di fare un’indagine meramente tecnica sulla condizione di un immobile verificando lo stato manutentivo generale, la regolarità urbanistica e catastale. Si tratta soprattutto di valutarne le sue potenzialità, la sua appetibilità commerciale ovvero lo stato di maturazione. Questo tipo di valutazione sicuramente metterebbe in luce aspetti inediti ed interessanti molto utili all’Ente Religioso. Spesso si ritiene che questo tipo di lavoro sia inutile. Ma è difficile dire cosa è utile o inutile quando del proprio patrimonio immobiliare si poco o nulla. La Chiesa esiste da duemila anni e, certamente ritengo che sarà ancora qui tra altri duemila”. E’ importante, quindi, mettere al sicuro il proprio patrimonio immobiliare e preservarlo anche per le future generazioni che della Chiesa ne hanno ancora tanto bisogno. Matteo Tarricone